Valentina Fossati è Principal Investigator presso la New York Stem Cell Foundation. La sua ricerca si focalizza sullo studio della sclerosi multipla attraverso lo sviluppo di nuovi modelli cellulari basati sul differenziamento di iPSC. In questa intervista ci spiega, dalla sua posizione di osservazione privilegiata all’interno di NYSCF, i pro e i contro di un modello di ricerca scientifica fondato sulla governance e i finanziamenti dell’alta finanza newyorchese.
Quali sono le principali aree di ricerca di NYSCF?
NYSCF si occupa principalmente di malattie neurodegenerative, Alzheimer, Parkinson’s, sclerosi multipla. Facciamo inoltre ricerca sul diabete, che è l’originario interesse di Susan Solomon, il nostro Chief Executive Officer, a anche sulla rigenerazione ossea e altre patologie, incluse le malattie orfane e rare.
Come vengono decise le linee di ricerca dell’organizzazione?
NYSCF sviluppa filoni di ricerca in quelle aree in cui crede di poter avere un impatto nell’accelerare la ricerca per portare nuove cure ai pazienti. Alcuni di questi studi sono stati incentivati da un interesse del donatore per una determinata malattia, come è stato ad esempio per il Parkinson’s e l’Alzheimer, per i quali ci sono state alcune famiglie che hanno fatto importanti donazioni iniziali per avviare queste linee di ricerca. Quanto al diabete, che è un altro dei filoni principali di NYSCF, vi era un forte interesse di Susan Solomon al riguardo, dal momento che il figlio è affetto da tale malattia.
Vi sono poi linee di ricerca che vengono proposte dal singolo investigatore. Ad esempio, nel caso della sclerosi multipla, quando ho iniziato a lavorare per NYSCF mi hanno chiesto di cosa volessi occuparmi, e dato il mio interesse per questa malattia, abbiamo iniziato a fare ricerca in questo ambito. Ci sono ricerche in cui veniamo coinvolti da altre organizzazioni o istituti di ricerca come esperti in cellule staminali, per esempio per malattie rare quali la Charcot-Marie-Tooth. In ogni caso, è il CEO a ratificare ogni decisione tenendo a mente l’obiettivo principale della fondazione, che è quello di accelerare le fasi dalla ricerca allo sviluppo di nuove terapie per i pazienti.
Com’è strutturata la governance di NYSCF?
In NYSCF, il CEO ha un ruolo centrale. Tecnicamente, il CEO risponde al board, composto da medici, ma anche da donatori provenienti dai più svariati settori, che contribuiscono alla gestione e al funzionamento dell’organizzazione. L’ultima parola spetta a loro, ma dal momento che il CEO è molto coinvolto con le nostre attività, le loro decisioni sono in genere allineate con quelle del CEO.
NYSCF, oltre ad avere il proprio istituto di ricerca, supporta giovani ricercatori in America e nel mondo con borse di studio per post-doc e finanziamenti a ricercatori che iniziano a dirigere un loro gruppo per cinque anni. Per la selezione dei progetti candidati, l’organizzazione si appoggia ad un board medico-scientifico, riunendo ogni anno una commissione di esperti in materia.
Come viene portata avanti la ricerca, dopo l’investimento iniziale?
Dopo il contributo iniziale di NYSCF, gli investigatori cercano di diventare indipendenti, applicando per altri fondi, erogati ad esempio dall’NIH o dal Department of Defense. Agli investigatori di NYSCF viene data questa sorta di start-up con cui dobbiamo poi cercare di diventare autonomi, fermo restando che c’è un budget generale di NYSCF che consente, previa approvazione da parte del CEO, di fare da ponte tra un grant e l’altro. C’è poi un ufficio budget, che si occupa di cercare donatori interessati a finanziare le malattie che studiamo. La questione per noi problematica è che non abbiamo un endowment, un fondo garantito, che ci consenta ogni anno di andare avanti. Per questo, abbiamo un’intensissima attività di fundraising. Ogni anno, organizziamo un gala dinner con i nostri sostenitori e donatori, presentiamo la nostra ricerca in occasione di eventi privati, e organizziamo frequenti tour dei nostri laboratori con potenziali donatori interessati a investire in NYSCF per assicurare fondi alla ricerca.
Il modello di governance adottato da NYSCF, con la forte presenza di finanziatori privati e donazioni filantropiche, sembra beneficiare in modo particolare dalla sua ubicazione nel contesto newyorchese…
NYSCF ha la sua base a New York, ma da qui ha creato contatti con moltissimi centri sparsi in tutto il mondo. E comunque, quello di NYSCF è un modello che è fortemente legato al contesto in cui è situata l’organizzazione, e non credo che potrebbe funzionare altrove. Innanzitutto, molti dei nostri donatori sono legati al mondo della finanza e a Wall Street. Inoltre, all’inizio, NYSCF è nata come reazione politica alle politiche di Bush sulle staminali, per garantire una stabilità dei finanziamenti a questo campo di ricerca, indipendentemente da chi ci fosse al governo. Ci sono stati molti donatori che all’inizio hanno voluto supportare NYSCF anche come risposta politica. Dopo l’avvento di Obama, tuttavia, il supporto di questo tipo è venuto un po’ meno, anche se la politica riguardo alle cellule staminali, specialmente riguardo ai finanziamenti, non è poi cambiata significativamente con questa amministrazione.
Quali sono altre rilevanti peculiarità dell’organizzazione?
Al di là delle modalità di finanziamento e di governance, il fatto unico è che qui si punta tutto sui giovani. Quando è nata l’organizzazione, l’età media dei ricercatori era ben al di sotto dei quarant’anni. Si investe su persone giovanissime, che hanno più passione che non esperienza, e penso che ciò sia molto importante per un campo di ricerca, quello delle staminali, così innovativo.
L’altro grosso vantaggio è che il modello di filantropia privata è fondamentale per fare i primi esperimenti pilota. Oggi ci troviamo in questo circolo vizioso per il quale, dal momento che non ci sono abbastanza soldi, i progetti che vengono finanziati sono solamente quelli ad altà fattibilità, per i quali devi avere una valanga di dati preliminari. E tuttavia nessuno ti finanzia per testare un’idea nuova. È il paradosso di una scienza che diventa mediocre, mera conferma del dogma dominante del momento. Un punto ricorrente nei ringraziamenti dei vari investigatori supportati da NYSCF è che, se non avessero avuto i soldi dell’organizzazione, il progetto non sarebbe mai stato finanziato da un ente governativo. In genere, si tratta di progetti altamente innovativi. Io stessa, non avrei mai potuto partire con un’idea completamente da zero in università. D’altro canto, non credo che a NYCSF si siano mai pentiti dei progetti avviati: se andiamo a vedere la lista di chi è stato finanziato, ci sono alcuni tra i nomi più importanti di questa area di ricerca.
Quali sono, a suo avviso, le problematiche insite in questo tipo di modello?
Vedo due tipi di problematiche. Innanzitutto, quella che potremmo definire come una problematica ideologica: di principio, la scienza non dovrebbe essere affidata alle donazioni filantropiche di singoli individui – per i quali peraltro vi è anche un vantaggio di natura fiscale nel fare donazioni.
C’è poi un problema di discrezionalità delle donazioni: il problema è che alcuni donatori fanno una donazione iniziale di un milione di dollari per fare ricerca in una determinata area e pensano che ciò sia sufficiente, mentre non si rendono conto della necessità nella continuità del finanziamento. Con il finanziamento iniziale si innesca un meccanismo, ma poi è necessario andare avanti, e la ricerca richiede molti altri fondi.
Valentina Fossati è Principal Investigator presso il New York Stem Cell Foundation Research Institute. Ha ottenuto un dottorato presso l’Università di Bologna e ha proseguito gli studi di post-dottorato presso la Mount Sinai School of Medicine di New York. La sua ricerca è iniziata con lo studio delle cellule staminali adulte, mesenchimali, ed ematopoietiche per poi focalizzarsi negli Stati Uniti sulle cellule staminali embrionali e pluripotenti indotte. Attualmente si sta dedicando allo sviluppo di nuovi modelli cellulari, basati sul differenziamento delle cellule staminali pluripotenti indotte, per studiare la neurodegenerazione e la demielinizzazione nella sclerosi multipla. Ha pubblicato, tra l’altro, sul Journal of Immunology e su Stem Cell Reports.